Emilio Vedova

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Nato a Venezia nel 1919 da una famiglia di artigiani-operai inizia a lavorare intensamente da autodidatta dagli anni trenta.
Nel 1942 aderisce al movimento antinovecentista “Corrente”. Antifascista, partecipa tra il 1944 e il 1945 alla Resistenza e nel 1946, a Milano, è tra i firmatari del manifesto “Oltre Guernica”. Nello stesso anno a Venezia è tra i fondatori della “Nuova Secessione Italiana” poi “Fronte Nuovo delle Arti”.
Nel 1948 partecipa alla sua prima Biennale di Venezia, manifestazione che lo vedrà spesso protagonista: nel 1952 gli viene dedicata una sala personale, nel 1960 riceve il Gran Premio per la pittura, nel 1997 riceve il prestigioso Leone d’Oro alla carriera. All’inizio degli anni cinquanta realizza i suoi celebri cicli di opere: Scontro di situazioni, Ciclo della Protesta, Cicli della Natura.
Nel 1954, alla II Biennale di San Paolo, vince un premio che gli permetterà di trascorrere tre mesi in Brasile la cui estrema e difficile realtà lo colpirà profondamente.
Nel 1961 realizza al Teatro La Fenice le scenografie e i costumi per Intolleranza ‘60 di Luigi Nono con il quale collaborerà anche nel 1984 al Prometeo.
Dal 1961 lavora ai Plurimi, prima quelli veneziani poi quelli realizzati a Berlino tra il 1963 e il 1964 tra cui i sette dell’Absurdes Berliner Tagebuch ‘64 presenti alla Documenta di Kassel nel 1964 dove ha esposto anche in numeose altre edizioni.
Dal 1965 al 1967 lavora allo Spazio/Plurimo/Luce per l’EXPO di Montreal.
Svolge un’intensa attività didattica nelle Università americane e poi alla Sommerakademie di Salisburgo e all’Accademia di Venezia.
La sua carriera artistica è caratterizzata da una costante volontà di ricerca e forza innovatrice. Negli anni settanta realizza i Plurimi/Binari dei cicli Lacerazione e i Carnevali e negli anni ottanta i grandi cicli di “teleri” fino ai Dischi, Tondi, Oltre e …in continuum. Tra le ultime mostre personali di rilievo, la grande antologica al Castello di Rivoli nel 1998 e, dopo la sua scomparsa nel 2006, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e alla Berlinische Galerie di Berlino.
La pittura di Vedova non si accontenta dell’occhio, ma vuole anche la palpebra. Non c’è visione intensa e abbagliante che non richieda l’oscurità più profonda. Il nero di Vedova, la sua presenza costante come disegno, contorno, macchia, griglia, scrittura, morsura, segno, groviglio, segnale, sgocciolatura. Il nero è questa palpebra, questa profondità che si sporge oltre se stessa per superarsi, per ritrovare poi i rossi, i gialli, i blu, i bianchi.
Una pittura che non termina, che non comincia, che si muove sulla tensione degli sguardi, ma anche dietro ad essi.

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