Arman

ARMAN Pierre Fernandez; Nizza, 1928 – New York, 2005, è tra i primi firmatari (insieme a Klein, Hains, Raysse, Tinguely, Villeglé, Dufrêne) ed esponente di rilievo del Nouveau Réalisme, il movimento nato attorno al critico Pierre Restany che nell’aprile del 1960 ne stilò il manifesto. “Il Nouveau Réalisme è una rivoluzione dello sguardo, una nuova dimensione della sensibilità”. Il movimento deriva, pur prendendone le distanze, dalle avanguardie dadaiste di inizio secolo, delle quali riprende l’atteggiamento dissacrante nei confronti dell’arte tradizionale. Con la sua esclusiva azione, l’artista compie un processo di dissemblage quando l’oggetto/opera d’arte non viene semplicemente esposto, ma sottoposto ad un’azione distruttiva metafora della violenza che la società esercita sui valori morali.
Influenzato dalle opere di Schwitters e Pollock, crea ed espone i primi “cachets” a Parigi nel 1956, tamponi inchiostrati che, moltiplicati, formano impronte sulla tela, giocando con il colore degli inchiostri e la loro disposizione. Prende contatto con gli oggetti ed inizia a proiettarli sulla tela: sassi, gusci d’uovo, aghi, etc. Poco a poco, l’arte di Arman si concentra sull’oggetto stesso, e verso un’accumulazione del medesimo; vi è adesso un’accumulazione di oggetti reali, di rifiuti della società; ne è un esempio la serie delle “poubelles” che appare nel 1959. Culmine di questo periodo è l’ esposizione “Le Plein”, nel 1960, presso la Galleria Iris Clert.
La matrice di partenza degli accumuli è chiaramente dadaista, tuttavia ne trae una sua personale versione strutturata in modo del tutto originale e programmato.E’ il modo che Arman sceglie per un’appropriazione diretta della realtà, superandone la rappresentazione mimetica, proponendo direttamente l’oggetto in un poetico riciclaggio del materiale urbano, industriale, pubblicitario.Le sue opere sono sempre moltiplicazioni di un oggetto singolo, o quasi. Ma è questo “quasi” che rende i suoi cataloghi misteriosi e rivelatori, perché essi ci mostrano che anche all’interno del medesimo (tanti tubetti, tanti occhiali, tanti strumenti musicali) esiste la possibilità di una modulazione del molteplice. Nel forsennato, ma segretamente regolatissimo, gioco dei suoi assemblaggi, in cui ogni oggetto, per un’inclinazione, una deviazione di equilibrio, una rotazione minima, si differenzia dai suoi confratelli, Arman trasforma la monodia dell’identicoo in sinfonia dell’eterogenico.

Si interessa, a partire dal 1961, alla decomposizione dei soggetti attraverso il découpage e concentra le sue ricerche su numerosi bronzi. L’artista intende denunciare la società e procede così a delle “distruzioni”, distruzioni ottenute dalla forza, dal fuoco: violini, pianoforti, sassofoni e vari strumenti musicali, i cui resti sono esposti in strutture di plexiglas; nel 1963 appaiono le “Combustioni”. Due anni più tardi, la sua arte si dirige verso l’assemblaggio di elementi meccanici.. Parallelamente realizza anche delle incisioni e acqueforti di grande formato, dei disegni, e rinnova le sue collaborazioni editoriali con poeti e scrittori. Durante gli anni ’70 continua la sua ricerca sperimentale, dedicando ora la sua attenzione all’inclusione dei suoi materiali classici in piattaforme di cemento, definite in gergo tecnico “Beton”, Negli anni ’80, invece, si amplia il ventaglio delle opere e delle tecniche: declina e moltiplica le diverse procedure di esecuzione: combustione più bronzo, pittura brush strokes, dirty paintings, shooting colors. Alla fine degli anni ‘90 l’opera si radicalizza in una successione di gesti riferiti all’oggetto.

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