Come sempre lo scenario che si intravede è frammentato, subissato dal nero e da una fiscalità che non lascia spazio e respiro alle vendite. Eppure qualcosa si muove sotto il sole dell’economia dell’arte, specialmente contemporanea, in Italia. Lo rivela l’Istituto di Ricerca Nomisma, nel suo ultimo rapporto annuale, realizzato in collaborazione con la pugliese Libera Università Mediterranea Jean Monnet, che traccia un trend positivo per le gallerie, che nell’ultimo quadriennio passano da una quota di mercato del 58 per cento al 72. Probabilmente anche per questo l’andamento delle manifestazioni fieristiche, continua, a quanto risulta dall’inchiesta, in maniera positiva.
E se mentre il Moderno e Contemporaneo aumentano, lievemente ma è pur sempre una quasi-garanzia, il loro “appeal”, in discesa è il settore dell’antico.
Ma c’è una nota che, da tempo, innumerevoli galleristi e addetti ai lavori rimarcano a gran voce: l’arte contemporanea, italiana, si vende all’estero. Con facilità e con notevoli performance. Nel 2013 il mercato dell’arte moderna e contemporanea ha avuto un andamento positivo rispetto al secondo semestre 2012 con prospettive di miglioramento previste anche per la prima parte di quest’anno. Ad attestarsi in testa alla classifica delle Regioni con il più alto scambio è la Lombardia, con quasi 55 milioni di euro di movimenti nel trimestre 2008-2011 e 35 milioni solo nel 2012.
Funziona il “piccolo collezionismo”, con vendite fino ai 20mila euro, anche se c’è un lieve incremento della fascia alta delle vendite, con un calo evidente solo nella fascia fra i 100 e 140mila euro.
Dunque? Dunque resta il solito problema: «Nonostante l’arte dimostri di avere notevoli potenzialità, sia come investimento, sia come volano per lo sviluppo locale, non sono ancora stati creati veicoli, quali fondi d’arte chiusi, per favorire l’ingresso dei risparmiatori nel settore. Il segmento dell’arte contemporanea è cresciuto molto velocemente tra 1995-2013 con un tasso di rendimento medio annuale del 3,35 per cento e ha dimostrato di reggere meglio il colpo della crisi, restituendo agli investitori collezionisti un +0,6 per cento annuo a partire dal 2006», si legge nel rapporto, dove sono anche indicati margini di rischio. Ecco un solo dato, il più basso, e il più esemplare: alla voce “margine di rischio” per l’arte contemporanea italiana c’è un 6 per cento, mentre se vi rivolgete a qualcosa che porta il nome di FTSE/Mib, ne troverete il 38.
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