Selvatico [tredici] 2018 Fantasia/Fantasma Pittura tra immaginazione e memoria A cura di Massimiliano Fabbri Fusignano Museo civico San Rocco Andrea Chiesi / Daniele Galliano (Via Monti 5) Centro culturale “Il Granaio” Marta Sesana / Giuliano Sale (Piazza Corelli, 16 – Corte Raffaello Baldini) Inaugurazione sabato 10 novembre ore 17 11.11.2018 – 20.1.2019
Selvatico disegna una mappa che congiunge luoghi, musei ed edifici storici diffusi nel territorio romagnolo, intrecciando questa pluralità di spazi, e le storie contenute in essi, all’interno di una geografia e percorso espositivo che coinvolge e connette opere e artisti contemporanei, con una particolare attenzione rivolta qui alla pittura e a quella che sembra, a tutti gli effetti, una sua ennesima stagione felice.
Cuore e centro del progetto è il Museo Varoli di Cotignola che, anche a partire dalla felice vicenda rappresentata dal cenacolo varoliano in bassa Romagna della prima metà del novecento, traduce questa esperienza e la riattualizza, allargando ed espandendo questa vocazione ostinata che mira a favorire, portare e coltivare l’arte in provincia, presenza inattesa ma necessaria, vitale e urgente. Lo fa guardando a piccole realtà, facendo rete, e segnalando sempre il suo sguardo periferico e il suo operare ai margini, una sorta di giusta distanza che diventa una delle chiavi per cercare di orientarsi, esplorare il presente, guardarsi intorno e rilanciare domande.
Un tessuto su cui Selvatico prova a innestare nuovi sguardi, quelli di una serie di artisti di varia provenienza geografica, tra giovani autori e altri più affermati e conosciuti, capaci di innescare una relazione fertile tra luoghi, opere e persone, tra il vicino e il lontano, tra una dimensione locale e una nazionale.
Tra questi Stefano W. Pasquini, (Bologna, 1969) artista, curatore e scrittore, ha esposto in sedi prestigiose quali, tra le altre, l’ICA di Londra, la National Portrait Gallery (Londra), Art in General (New York), Mambo (Bologna), Newhouse Center for Contemporary Art di Staten Island (New York) e al MACRO di Roma.
Questo il suo progetto per Selvatico:
“Il fantasma della follia, dell’ossessione, gravita attorno ai creativi da sempre. È un fuoco alle volte assopito che ogni tanto ha bisogno di uscire. Ho progettato questo mio intervento all’interno di Selvatico con la consapevolezza che entrare nelle “mie” stanze significa avvicinarsi non al mio mondo esteriore – fatto di tanti impegni istituzionali e non, e soprattutto cose pratiche che non interessano a nessuno – ma a quanto frulla nella mia testa durante questi impegni. Porto fuori il cane e penso al fatto che nel 2012 sono state scattate più fotografie che dall’inizio della fotografia al 2011. Sarà una bufala? In ogni caso rende l’idea di quello che può essere – anche solo potenzialmente – la creatività collettiva. Potrebbe questa energia creativa essere incanalata in qualcosa di alto, di ampio, di grosso? Chissà. Torno dalla passeggiata col cane, due telefonate mi interrompono mentre impagino con InDesign l’ennesima grafica urgentissima per l’Accademia Albertina. Questo non ha nulla a che fare con i miei interessi, mentre il cervello pensa alle pennellate di Rubens, da poco viste all’Hermitage di San Pietroburgo, alle volte così fluide da rasentare la colatura. La colatura, Rubens! Parto sempre dal presupposto che la pittura non interessi più a nessuno, ma che il nostro gesto anacronistico sia comunque una delle cose più importanti del nostro fare. La pittura è bellissima, sottolinea Elena Hamerski in una sua sorta di azione artistica che implica attaccare in giro questa frase. Mentre portavo fuori il cane l’ho attaccata davanti a casa mia.
Ludovico Ariosto non c’entra niente con Cotignola, ma le stanze di Palazzo Pezzi si addicono bene alla sua personalità. Del resto la sua casa a Ferrara ha un’architettura simile. Dunque nelle prime stanze presento un Ariosto-Non-Ariosto che guarda avanti scimmiottando un ritratto di Tiziano che poi non si è mai capito se fosse Ariosto oppure no. Attorno a lui, sette donne. Le donne di Ludovico Ariosto. Alcune reali (la madre, la moglie, l’amante, neanche fosse un film con Lino Banfi) altre inventate (da lui: Bradamante, Angelica). Chi è chi lo decidete voi?
Nella terza stanza c’è la luna. La luna su cui Astolfo ritrova il senno di Orlando, che brulica di memorie, di energia e di follia. La luna che ci guarda anche quando noi non stiamo guardando lei. La luna guardata da un oblò di Gianni Togni o la luna del pastore errante dell’Asia di Leopardi, o quella di una non certificata frase di Leonardo che si chiede: “La luna, la luna, ma come sta la luna?”. La luna ci guarda e guarda il nostro brulicare inutile in questa palla più grande di lei. Si sentirà all’altezza? O ci guarderà dall’alto in basso? Eppure non è tanto difficile da raggiungere, se Astolfo con quattro battiti di ali arriva e vi trova di tutto. Come qui. Nelle ultime stanze non c’è l’ampolla con il senno di Orlando, nè quella con la follia di Stefano W. Pasquini, ma un leggero brusio di confusione che invita anche te, lo spettatore, a partecipare all’installazione.”
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