DOSSIER ARTE. Un milione e mezzo di biglietti in meno nel 2005
Nomi di richiamo ma allestimenti poveri, il pubblico resta deluso
ROMA – Una penombra. Un chiaroscuro. Dove brillano soltanto le donne di Gauguin e i campi di grano di Van Gogh. Dove si fa la fila per vedere Manet, Monet, i colori e la luce degli Impressionisti, il genio di Caravaggio, ma per il resto poco o niente, i bilanci sono in rosso e le gallerie semivuote. Sembrava impossibile invece è accaduto: in Italia le mostre d’arte si moltiplicano ma perdono visitatori, le lunghe file davanti alle grandi esposizioni sono un ricordo, gli eventi aumentano ma la passione diminuisce.
Il dato è tanto forte da fare impressione: nel 2005 i visitatori delle mostre sono stati un milione e mezzo in meno rispetto al 2004, un record addirittura peggiore del 2002, quando dopo l’attentato alle Torri Gemelle la paura globale faceva disertare i luoghi pubblici e ancor di più i luoghi dell’intrattenimento. Ma che cosa è successo? Come mai in un Paese dove l’arte è tutto e dappertutto le mostre fanno flop, e nel 2005 le esibizioni con numeri “internazionali”, cioè tra i 100mila e i 200mila visitatori sono state soltanto 19?
E quanta responsabilità di questo disinteresse è da ascrivere all’impoverimento delle famiglie, dove i dieci, quindici euro del biglietto sono ormai un lusso?
Rosanna Cappelli, direttrice della sezione “Musei e mostre”di Electa, casa editrice specializzata in cataloghi e monografie, ma anche nell’organizzazione di mostre, parla apertamente di “mostrite”, ossia, “proliferazione incontrollata di esposizioni, a cui non ha fatto seguito una proliferazione del pubblico”.
“Negli ultimi anni c’è stata una corsa frenetica all’organizzazione di mostre, anche senza veri criteri scientifici. Con una ricetta semplice, che sembrava infallibile e invece ha fallito. Si lancia un nome di richiamo, Caravaggio ad esempio, per citare un pittore amatissimo che assicura numeri di massa, per offrire poi un allestimento povero, con pochi quadri e poche tele. Il pubblico resta deluso, la seconda volta in quello spazio espositivo non torna, e la disaffezione si crea anche così”.
Certo, c’è da dire che l’Italia è un “museo diffuso”, che i grandi spazi espositivi si contano sulle dita di una mano e non possono essere messi a confronto con le grandi aree dei musei americani, francesi o giapponesi. Però fino ad un anno fa quel milione e mezzo di visitatori che oggi manca all’appello si muoveva, si spostava dalla mostra del Perugino in Umbria a quella di Duccio a Siena, e così di regione in regione, di comune in comune. “Il dato economico pesa – aggiunge Rosanna Cappelli – è sempre più difficile infatti organizzare mostre “ricche”. È vero, la gente ha pochi soldi, ma non è questo che ha allontanato i visitatori, è stata la cattiva qualità”.
Come se si fosse raggiunto un apice e adesso c’è una discesa. Con delle eccezioni naturalmente. Le mostre organizzate da Marco Goldìn a Brescia, numeri record sia nel 2004 che nel 2005, esposizioni di grande comunicazione e pittori dal richiamo sicuro, Van Gogh e Gauguin, gli Impressionisti. “E’ successo quello che tutti temevamo – ammette Marco Goldìn, considerato in questo momento il golden boy del “sistema mostre”.
L’offerta ha superato la domanda, e la crisi economica ha frenato il “pubblico largo”, così lo chiamiamo noi, quello dei grandi numeri. Però di fronte alla qualità i visitatori arrivano davvero, fanno le file e prenotano. I tagli si vedono nei servizi collaterali: al bookshop si compra sempre meno e al ristorante si fermano in pochi. Ma alla buona mostra non rinunciano”. Voci, commenti, critiche. Albino Ruberti, amministratore delegato di Zetema, leader nelle mostre capitoline, dove la flessione si è sentita di meno, mette sul tappeto un problema serio: la fuga degli sponsor. “Le grandi aziende oggi non fanno più comunicazione con il loro logo su un grande restauro o finanziando una mostra. E questo ha cambiato le regole del gioco. I fondi privati sono diminuiti e i fondi statali non ci sono più. Non sempre però la moltiplicazione degli eventi porta alla fuga. Anzi. A Roma è successo il contrario. È stata la vitalità globale dell’offerta, e il legame con i musei a far aumentare, anno dopo anno, il numero dei visitatori”.
Sì, però la crisi morde. Ne è convinto Marco Palaschi di Arthemisia, gruppo specializzato in mostre con un forte legame sul territorio e che nel 2004 hanno raggiunto i 400mila visitatori con “Perugino il divin pittore” e gli oltre 100mila visitatori nel 2005 con un mostra del tutto diversa e dedicata all’opera grafica di Mirò. “I tagli agli enti locali hanno strozzato il sistema mostre. Il 2005 è stato un flop collettivo perché dal 2003 in poi è stato impossibile progettare qualunque tipo di evento culturale, visto che le casse erano e sono rimaste vuote. Oggi senza una fondazione bancaria non si riesce a fare più nulla, ma è sempre più difficile mettere insieme i vari soggetti che possono finanziare e pensare una buona mostra. Soprattutto se si preferisce il rigore scientifico all’effetto blockbuster”.
Maria Novella De Luca
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