L’economia promuove la cultura. Per i beni artistici servono laureati con competenze gestionali
Nel mondo della cultura una maggiore competizione a livello di offerta e la contemporanea diminuzione dei fondi pubblici hanno reso necessario, soprattutto nell’ultimo decennio, l’inserimento di funzioni di stampo economico e gestionale. Le maggiori novità sono non tanto nei settori dell’industria culturale (editoria, discografia, cinematografia) che hanno logiche simili a quelle delle imprese tradizionali, quanto in quelli della gestione dei beni culturali e dello spettacolo.
Una prima funzione è quella della ricerca fondi. «La figura del fund raiser è fondamentale ed è ben presente nel mondo anglosassone – nota Cristian Valsecchi, docente di economia dei beni culturali all’Università di Bergamo – dove anche nei musei medi ci sono 4-5 persone che si occupano di ricerca fondi. Nelle nostre istituzioni culturali invece questa figura decolla a fatica. Cresce invece l’attenzione per le funzioni della promozione, del rapporto con la stampa e quella del service management, per garantire dei buoni livelli di accoglienza. Un’altra figura importante è quella del project manager, che ha una visione complessiva del progetto e svolge una funzione di coordinamento collettivo».
Per formare queste professionalità gli atenei hanno sviluppato negli ultimi anni alcuni nuovi corsi. Le strade sono almeno due: la prima corrisponde ai curricula del conservatore e del curatore che, all’interno delle lauree in Conservazione dei beni culturali, decine in tutta Italia, seguono l’indirizzo interdisciplinare “scientifico sociale/umanistico”. La seconda parte invece da una formazione di base gestionale. Il primo corso di questo tipo è stato il Cleacc (Economia per le arti, la cultura e la comunicazione) del l’Università Bocconi, fondato nel 1999.
«I corsi che propongono un’ibridazione molto forte tra discipline culturali e gestionali portano a una formazione confusa – commenta Stefano Baia Curioni, direttore della laurea specialistica del Cleacc -. Il sistema andrà verso l’interfaccia di più figure, ma ognuna dovrà avere le sue specifiche competenze funzionali». Su una “terza via” si fonda invece il corso in Economia e gestione dei beni culturali e dello spettacolo della Cattolica di Milano, interfacoltà di Economia e Lettere e filosofia, che propone un’integrazione delle competenze culturali e gestionali. «L’obiettivo – spiega Paola Fandella, responsabile del corso – è creare persone capaci non solo di occuparsi di amministrazione e marketing, ma anche di essere dialetticamente in grado di confrontarsi, anche con una solida preparazione culturale di base, con gli artisti». Con un’impostazione simile, nell’offerta formativa si sono di recente inseriti anche i corsi di laurea specialistica appartenenti alla classe delle «scienze economiche per l’ambiente e la cultura», che fanno capo alle facoltà di economia.
Numerosi sono anche i master per i manager della cultura. «C’è stata una proliferazione di offerta senza una considerazione della domanda per questo tipo di figura – lamenta Ugo Morelli, direttore del master of Art and culture management alla Trento School of management – ma quelli davvero validi, che rispettano dei parametri di serietà, sono solo una dozzina».
Fabrizio Patti,
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