La prima conseguenza della crisi in cui versa il nostro paese è la chiusura su noi stessi, una sorta di autarchia illusoria, fondata sul com’eravamo, sulla negazione della realtà esterna.
L’Italia non sta guardando avanti, ci crogioliamo nelle glorie passate, da quelle rinascimentali a quelle del dopo-guerra, senza prendere atto che il Novecento è finito, che molti paesi europei ci stanno soppiantando non solo nella tecnologia e nell’industria ma in quello che dovrebbe essere il nostro primato: la cultura e il turismo (ad essa legata).
L’Italia possiede il maggiore patrimonio culturale esistente al mondo e non riusciamo a trovare i fondi per salvare il Colosseo. Le nostre strutture di accoglienza e i servizi non sono competitivi, e la storica ‘qualità di vita’ italiana se la sono dimenticata in molti, preferendo alle bellezze nascoste quelle raggiungibili. A Parigi è possibile acquistare per telefono un biglietto ferroviario a mezz’ora dalla partenza del treno, ritirarlo a qualsiasi ora in uno sportello senza fila della stazione ed andare a Bruxelles a vedere un film, una mostra d’arte, un negozio o a stipulare un contratto, il tutto nell’arco di poche ore. Inutile dire quanto una simile possibilità porti con sé ricchezza, posti di lavori, scambi economici e culturali.
Parliamo di arte. All’estero sempre meno paesi ci chiedono le opere dei nostri maestri a causa delle barriere burocratiche, dei disservizi e della mancanza di conoscenza dell’inglese. Bisogna capire quanto il rifiuto di scambio con il resto del mondo penalizzerà tutti noi: meno lavoro, meno innovazione, meno investimenti basati non sulle speculazioni, ma sulla produzione effettiva.
L’esempio di quanto è stato fatto a Napoli con il Museo MADRE deve diventare un modello da imitare: un Museo impeccabile, impostato con competenza, che mira alla massima qualità affinché questo faccia da traino
per tutte le realtà circostanti, che dovranno tenere il passo con il Museo. Il progetto di Alvaro Siza, le opere in collezione e l’impostazione museale di Edoardo Cicelyn e Mario Codognato fanno di MADRE un Museo che si pone a confronto coi musei del resto del mondo e anziché pensare che questo leda i diritti di sopravvivenze locali, questa aspirazione alla qualità e all’esportabilità funge da stimolo e da richiamo per tutti, a livello locale, nazionale e internazionale. L’architetto Zaha Hadid, che ha progettato il MAXXI di Roma, ci ha portato in valore aggiunto il fatto che nel nostro paese opera un vincitore del Premio più prestigioso al mondo per l’Architettura, il Pritzker Prize. Questi confronti con l’esterno sono salutari, sia per le aziende che lavorano così in un contesto internazionale con l’opportunità di farsi conoscere fuori, sia per il turismo dell’arte contemporanea, che si sa è un turismo ricco e di grandi contatti.
I nostri artisti, giovani e non, devono ritrovare coraggio e curiosità, puntare ad obiettivi alti pari a quelli dei colleghi stranieri, e noi dobbiamo aiutarli proprio puntando all’eccellenza e alla competitività, senza compiacenti consolazioni le cui conseguenze sono solo mancanza di aspettative, il timore della competizione e la sfiducia nel nuovo. Dobbiamo riprendere a viaggiare, a non temere lo straniero, a parlare le lingue, ad informarci, a spostarci, portando fuori il nostro valore aggiunto, e accogliendo quello altrui. Gli artisti lo hanno compreso più della politica e delle istituzioni, molti artisti infatti chiedono e cercano una via per andare a lavorare o a studiare fuori frontiera. Prendiamo il caso della Svizzera, di Basilea per esempio: l’altissimo livello della Fiera, della Kunsthalle, del Museo, della Fondazione Bayeler, situata nello stupendo edificio progettato da Renzo Piano, esempio di grande armonia e coerenza fra contenitore e contenuto, hanno portato non ad un turismo di massa (quello dell’intrattenimento appunto) che non crea fonti d’investimento ad ampio raggio e a lungo termine e non giova alla cultura, ma a creare negli anni un’immagine e uno status della città che è stato poi ripagato con l’entrata di grandi aziende internazionali che hanno aperto nella città e nel paese i loro uffici, creando ricchezza e posti di lavoro per migliaia di persone. Nonostante tutto, l’Italia gode ancora di un enorme prestigio all’estero: gli artisti, gli architetti, aspirano a venire nel nostro paese, e dobbiamo lavorare su questo, senza credere che sia sufficiente riposarci sui mitici anni che furono. La competizione è forte e il rischio è che le piazze d’Italia, i nostri tramonti e il nostro vino se non supportati da valide strutture pari a quelle presenti quasi ovunque non basteranno più ad allettare nessuno.
Creare e favorire la nascita di strutture pubbliche o private per sostenere i nostri artisti all’estero nei luoghi e nelle modalità più di prestigio: dove sono i grandi industriali e manager che all’estero finanziano la cultura attraverso le fondazioni? Dobbiamo far sì che anche costoro vengano stimolati a contribuire a questa ricchezza, non tanto con sostegni pubblici quanto con facilitazioni fiscali, come nel resto del mondo. Questo creerebbe realtà indipendenti, agili e alternative a quelle pubbliche, pur fondamentali, ma che ancora stentano ad abbandonare le vecchie tipologie.
Le Fondazioni, anche se quelle nostre sono diverse da quelle estere in quanto comunque legate a finanziamenti pubblici e di grandi gruppi bancari, hanno dimostrato di eccellere, basti vedere il Museo di Rivoli o citare la scorsa memorabile mostra di Kiki Smith alla Querini Stampalia di Venezia. Non esistono ancora in Italia Fondazioni private quali la Essl in Austria, la Bayeler di Basilea o la Hoffmann di Berlino, e anche questo va a scapito del paese.
Parlo delle Fondazioni perché un altro problema che bisognerebbe risolvere è quello delle donazioni. Il nostro paese, a differenza di quanto accade negli Stati Uniti o nel Regno Unito, non consente di dedurre dalle tasse il valore della donazione effettuata a un museo. Questo fa sì che non si offre la possibilità di donare ai nostri musei le opere dalle grandi collezioni internazionali. Il problema del vedersi poi recapitare di tutto da qualsiasi artista (ciò che temono molti musei) non esiste perché il museo è libero di rifiutare una donazione e dovrebbe anzi reperire e domandare lui stesso le opere ad hoc per la propria collezione. Dedurre la donazione dalle tasse ha fatto sì che gli Stati Uniti e il Regno Unito siano oggi i due paesi più importanti e più influenti per l’arte. Non è un caso che la Germania, nonostante la crisi successiva al 1989, abbia investito e continui ad investire moltissimo sull’arte e sulla qualità. La snellezza di gestione di alcune realtà museali quali ad esempio il Vanabbemuseum di Eindhoven (comunque pubblico in quanto museo cittadino) contribuisce a dare vita a realtà di respiro internazionale anche in città minori. I paesi che hanno puntato, anche se per strade diverse, sull’arte e sulla sua qualità, hanno fatto poi nascere attorno a queste realtà un intero circuito economico, e di strutture e servizi, svecchiando il paese e facendone un richiamo sia per il pubblico, abituandolo al prestigio e al rigore qualitativo della cultura, sia per i giovani artisti, sia per i grandi investitori e collezionisti. Tutto ciò contribuisce a rimettere in moto la macchina dell’economia, che non può oggi più prescindere dallo scambio, dal confronto e dall’apertura al mondo.
Enzo Carra
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