Non sono pochi i motivi per prendere in considerazione un investimento in opere d’arte e gli italiani sembrano essere sempre più consapevoli di questo fatto. Il numero di privati che riservano una parte del proprio capitale per questa asset class è infatti in costante crescita. Innanzitutto ci sono le performance, il fattore più importante per un investitore: secondo diversi studi le opere d’arte, in particolar modo i quadri, hanno garantito rendimenti in alcuni casi superiori ai titoli azionari. La vastità della produzione artistica rende difficile stilare dei listini paragonabili a quelli delle Borse ma secondo uno studio dell’autorevole università di Yale negli Stati Uniti dal 1900 al 1980 l’investimento in arte ha offerto un rendimento medio annuo in dollari superiore al 17%, contro una media storica di Wall Street vicina al 10%. Un altro studio condotto da David Kusin, fondatore della società americana di consulenza Kusin & Company, ha dimostrato che dal 1988 al 1998 le opere della pittura americana hanno reso mediamente il 14% annuo.
In Italia un altro valido motivo per investire in arte è di carattere fiscale. I privati non pagano le tasse sulle plusvalenze realizzate, mentre in Borsa il capital gain viene tassato con un’imposta del 12,5%. Inoltre, già prima della riforma varata dal governo Berlusconi, le opere d’arte erano esentasse in caso di successione ed è assai probabile che le cose non cambieranno anche se il nuovo governo decidesse di reintrodurre una soglia di tassazione.
Le opere d’arte, che comunque non devono arrivare mai a rappresentare più del 510% del patrimonio totale, consentono poi di introdurre una buona diversificazione all’interno del proprio portafoglio. Esse non a caso rientrano nella categoria degli investimenti alternativi e rappresentano un’ottima protezione nei periodi di cali delle Borse, poiché gli andamenti dei due mercati non sono correlati fra di loro. Ed è proprio per diversificare il proprio investimento che il fondo pensione delle ferrovie inglesi ha investito fra il 1974 e il 1982 una parte del proprio patrimonio in opere d’arte, rivendendole poi fra il 1987 e il 1989 con un rendimento medio annuo del 15,3%. Che l’acquisto di quadri e sculture non sia solo un vezzo da ricchi lo sanno bene anche gli istituti di credito specializzati nella gestione dei patrimoni di clienti facoltosi, le cosiddette private bank: tutte offrono un servizio di consulenza nel campo dell’arte con esperti che non solo valutano il quadro ma accompagnano anche il cliente all’asta o nel luogo di acquisto.
L’ultimo e forse più importante motivo per possedere un’opera d’arte è che per tutto il tempo in cui lo si possiede se ne può godere tenendolo appeso in salotto (sempre che il quadro non abbia un valore tale da consigliare la conservazione nella cassetta di sicurezza all’interno di un caveau di qualche banca), una differenza di non poco conto rispetto alle azioni e alle obbligazioni.
Chi vuole dunque avventurarsi nel mondo degli investimenti d’arte da che parte deve iniziare? Chi ha a disposizione pochi capitali deve puntare sugli artisti contemporanei e fare affidamento sulle proprie conoscenze, ricavate da letture e dalla frequentazione di mostre, e sul proprio gusto. La soglia di investimento minima sono poche migliaia di euro ma trattandosi di autori perlopiù sconosciuti il rischio è molto alto (ma d’altra parte è proprio con questi artisti che si possono realizzare i guadagni più alti). Chi può invece permettersi di investire dai 30mila euro in su le cose diventano relativamente più facili e meno rischiose. Esistono tanto per iniziare numerose società di consulenza, rivolgendosi alle quali è possibile evitare grossolani errori da principiante. Si ha poi la possibilità di puntare sui più sicuri artisti dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento, che con ogni probabilità non hanno le potenzialità di apprezzamento degli autori sconosciuti ma che hanno il pregio di aver valutazioni più stabili essendo meno soggetti alle mode e alle fluttuazioni del mercato. Il consiglio degli esperti è quello di cercare in ogni caso opere di provenienza certificata, in un perfetto stato di conservazione e con un’attribuzione certa. A questi prerequisiti va poi aggiunto un orizzonte temporale di investimento lungo: il mercato dell’arte non possiede la liquidità di quello azionario e i movimenti dei prezzi sono molto più lenti; chi ha fretta di vendere inoltre rischia di farlo a prezzi di saldo. Gli operatori sostengono che bisogna essere pronti a un investimento di almeno cinque anni, insomma quella che in campo azionario si dice una mentalità da cassettista.
Giovanni Marabelli – Affari&Finanza di Repubblica di lunedì 24 aprile 2006
Lascia un commento